SEZZE, sulla statua arriva il ricorso al Tar: “Comportamento del Comune a dir poco schizofrenico”
E’ stato presentato da don Massimiliano Di Pastina, come prevedibile, il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale contro l’ordinanza 81 del 4 settembre scorso che obbliga l’uomo di chiesa a smantellare il cantiere aperto l’8 maggio 2019 (chiuso dopo 13 giorni) per la realizzazione di una statua raffigurante San Lidano d’Antena, Santo Patrono della città, e a ripristinare a sue spese lo stato dei luoghi all’interno del piazzale del Belvedere a ridosso della cattedrale di Santa Maria.
Sul tavolo dei giudici dell’organo di giurisdizione amministrativa arriverà un ricorso lungo e ricco di dettagli che cercano di confutare le decisioni dell’ente a partire dall’1 giugno 2018, quando la giunta comunale accolse favorevolmente la proposta del religioso di far realizzare un manufatto e di posizionarlo, a sue spese, all’interno della piazzetta che affaccia sulla pianura pontina. Sostenuto dai suoi legali, Luigi Perrino e Giangiacomo Saurini, don Massimiliano ha ricostruito l’intera vicenda, partendo proprio dalle due delibere di giunta, passando per ulteriori autorizzazioni a procedere concesse dall’ente (tra le quali l’esonero al pagamento della tassa di occupazione del suolo pubblico per motivi di pubblica utilità), fino ad arrivare alla sospensione dei lavori (maggio 2019), alla successiva conferenza dei servizi, al consiglio comunale del 6 giugno scorso, alla diffida e all’ordinanza. Una cronistoria lunga 2 anni e mezzo (iniziata il 12 aprile 2018 con la proposta indirizzata all’ente) nella quale, secondo il ricorrente, gli errori sarebbero stati tanti e lui avrebbe agito nei rispetto delle normative vigenti, aprendo un cantiere ed iniziando a lavorare con le carte in regola.
Di contro, stando a quanto presentato nel ricorso, ci sarebbe stato un atteggiamento sbagliato da parte dell’ente, tale da non giustificare affatto l’esito della vicenda e da costringerlo a presentare ricorso. Tra gli errori rilevati quello della sospensione dei lavori ben 8 mesi dopo la presentazione della Cila (invece dei 30 giorni stabiliti dalla normativa), quello del mancato annullamento delle due delibere che, di fatto, autorizzavano ad effettuare l’intervento e, soprattutto, quello relativo al fatto che il consiglio comunale, nella seduta del 6 giugno scorso non avrebbe, di fatto, deciso nulla, con il punto che eventualmente sarebbe dovuto essere rinviato e non dar per scontato un parere negativo che sostanzialmente non c’è mai stato.
Elementi che hanno spinto gli avvocati a sostenere, all’interno di un passaggio del documento, che il comportamento del Comune è da considerarsi “a dir poco schizofrenico”, con un altro passaggio che parla espressamente di eccesso di potere. Le richieste, oltre a quella di rendere nulla l’ordinanza, sono di un risarcimento di poco più di 30mila euro (26mila per lavori già effettuati, 4.300 nell’eventualità che si debba ripristinare lo stato dei luoghi), oltre a danni che il ricorrente si è riservato di indicare in corso di giudizio.