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Mondoreale > Blog > Speciali > ViteRe@li > La normalizzazione della violenza
ViteRe@li

La normalizzazione della violenza

Ultimo aggiornamento: 17 Novembre 2025 17:59
Alessia Giannatempo Pubblicato 17 Novembre 2025
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Si può normalizzare la violenza? A quanto pare sì. Tra i banchi di scuola colgo sempre spunti interessanti sui quali poter riflettere e cercare di comprendere le motivazioni che vi sono alle spalle. Partiamo dall’inizio. Durante una lezione, un’alunna stava raccontando un episodio che l’aveva vista coinvolta: aveva avuto una discussione con il suo ragazzo e, al culmine del litigio, lui le aveva messo le mani al collo. Già a quel punto la mia espressione è cambiata. Ma si può dire che non c’è mai limite al peggio? Vedendo la mia reazione inorridita, lei ha aggiunto con naturalezza: «Ma è normale! È solo una manifestazione di gelosia, di amore! Non le è mai successo?» In quel momento ho sentito un nodo allo stomaco. Non tanto per il gesto in sé, che pure è gravissimo, ma per la naturalezza con cui lei lo aveva raccontato. Per quella convinzione, quasi sorridente, che tutto ciò rientrasse in una sorta di rituale d’amore distorto. Mi sono presa un secondo per respirare e scegliere con cura le parole. Non volevo reagire con rabbia, né con giudizio: volevo che capisse. Volevo aprire uno spiraglio. «No,» le ho risposto con calma, «non è normale. E soprattutto non è amore». Attorno a noi, il resto della classe aveva smesso di fare rumore. Quelle frasi avevano gelato l’aria: qualcuno abbassava lo sguardo, qualcun altro sembrava annuire impercettibilmente, come se stesse riconoscendo qualcosa di familiare. E lì ho capito che non stavo parlando solo a lei, ma a molti altri. Ho continuato, cercando un equilibrio tra fermezza e delicatezza: «Le mani al collo non sono un gesto di gelosia. Sono un gesto di violenza. Anche se arriva da qualcuno che dice di volerti bene. Anche se dopo chiede scusa. Anche se pensi che “lo ha fatto perché ci tiene”». Lei mi guardava, un po’ spiazzata, come se ciò che dicevo non fosse semplicemente nuovo, ma quasi inconcepibile. E in quella crepa, in quella lieve incrinatura del suo sguardo, ho intravisto la possibilità di farle vedere un’alternativa: che l’amore può avere un’altra forma, che esistono confini, rispetto, cura.

E a questo punto mi viene da pensare: come siamo arrivati a normalizzare un gesto così violento? Come abbiamo potuto scambiarlo per amore? Mi torna alla mente quante volte, ormai quasi senza accorgercene, sentiamo frasi come “È geloso perché ci tiene”, “L’amore è litigare”, “Se non soffri, non è amore”. Una cultura intera che per anni ha seminato l’idea che il possesso sia passione, che la sofferenza sia un ingrediente inevitabile, che gli eccessi siano prova di sentimento. E così, generazione dopo generazione, questi modelli si sono infilati nelle relazioni come spine invisibili. Abbiamo iniziato a credere che l’amore vero debba graffiare, che la felicità passi per la paura, che l’intimità richieda l’accettazione incondizionata di gesti limite. La tossicità nelle relazioni, oggi, non è un fenomeno isolato: rappresenta una realtà continua, quasi strutturale. E la psicologia ce lo conferma. Ci parla di dipendenza affettiva, di ansia da abbandono, di narrazioni distorte dell’amore, spesso apprese in famiglia, nei media, oppure ancora nelle prime esperienze sentimentali. Ci spiega come la violenza possa iniziare in modo sottile — un controllo, una gelosia “romantica”, un limite oltrepassato “solo una volta”, e come, piano piano, chi la subisce finisca per confonderla con attenzione, con cura, con passione. Ed è questo che mi fa più male vedere: non solo il gesto, ma la convinzione che quel gesto sia normale, che sia persino desiderabile. In quel momento, guardando l’alunna davanti a me, mi chiedo quante altre ragazze e quanti altri ragazzi stiano crescendo con questa idea dell’amore.

E quanto lavoro abbiamo ancora da fare per restituire a quella parola, amore, il significato che merita: un luogo sicuro, non un campo di battaglia. I dati parlano chiaro: In Europa, un’indagine ha stimato che circa il 22 % delle donne di età ≥ 15 anni ha sperimentato violenza fisica e/o sessuale da parte di un partner intimo. Questi dati fotografano perciò un quadro allarmante: uno studio su giovani coppie ha evidenziato che la gelosia romantica rappresenti un fattore significativo di rischio per la violenza tra partner: la gelosia può precedere, quindi favorire, la violenza. Questa violenza, agita ma anche accettata, è relativa a quelli che vengono definiti in psicologia come “stili di attaccamento”, perlopiù di tipo “ansioso” o “evitante”, stili che tendono a contribuire all’esacerbazione della violenza ed all’accettazione della stessa in funzione della legittimità di un sentimento. Emozioni e sentimenti, giocano un ruolo fondamentale in questo senso: saper riconoscere, e gestire le proprie emozioni, rappresenta certamente un punto di partenza essenziale, e fondamentale, processo che passa attraverso l’educazione affettiva, che a più ampio respiro deve coinvolgere le famiglie ma anche, e senza ombra di dubbio, le istituzioni scolastiche. Punto di partenza essenziale certamente, per invertire la rotta, la tendenza a questa normalizzazione di tali gesti, e ad una più profonda consapevolezza che l’amore è ben altro che coercizione.

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