Stop alle urne. I seggi del referendum dell’8 e 9 giugno si sono chiusi ufficialmente oggi alle 15.00. E, contrariamente a quanto molti auspicavano, la maledizione di Craxi non ha colpito. Questa volta l’“andate al mare” non ha funzionato come incoraggiamento implicito all’astensione: il quorum non è stato raggiunto.
Secondo i dati parziali, l’affluenza si è fermata attorno al 30%, segno evidente che l’appello al voto non è riuscito a scaldare l’elettorato. Tra chi ha scelto di recarsi alle urne, circa il 40% avrebbe votato NO. I dati sui contenuti mostrano un SÌ attorno all’80% per i quattro quesiti sul lavoro, e un più basso 60% sul tema della cittadinanza.
Un dato significativo riguarda la composizione dell’elettorato: la maggior parte dei votanti è donna. Più che un riflesso di senso civico generalizzato, sembra emergere una consapevolezza profonda del diritto di voto, conquistato con fatica nella storia della Repubblica, e oggi vissuto come dovere più che opzione.
Zoom su Latina. Anche nel capoluogo pontino la partecipazione è rimasta ben al di sotto della soglia necessaria. Con 513 sezioni scrutinate su 513, i dati sull’affluenza sono chiari:
- alle ore 12 ha votato il 5,78%,
- alle 19 il 12,47%,
- alle 23 il 17,42%,
- e al termine del voto, alle 15 di oggi, l’affluenza si è fermata al 24,57%.
Eccezioni locali: in pochi comuni il quorum è stato superato. A Matera, dove si è votato anche per il ballottaggio comunale, l’affluenza ha raggiunto il 53,3%. Stessa sorte a Paciano, piccolo comune in provincia di Perugia, dove si è recato alle urne il 51,38% degli aventi diritto. Ma la norma resta l’astensione.
Tra i commenti politici post-voto, il più atteso era quello del promotore principale: Maurizio Landini, segretario della Cgil, che considera questi risultati una “non vittoria”,ha ammesso:
«Il nostro obiettivo era raggiungere il quorum per cambiare le leggi. Questo obiettivo non l’abbiamo raggiunto. La crisi democratica è evidente».
Una lettura lucida, ma anche un segnale d’allarme per chi intende ancora utilizzare il referendum come strumento di mobilitazione politica.
Ignazio La Russa, presidente del Senato, ha invece puntato il dito contro la sinistra:
«Alla luce dei numeri dell’affluenza, sarebbe troppo facile infierire verso chi ha usato il referendum solo per attaccarmi o Giorgia Meloni. La loro campagna di odio ha avuto un effetto: ho votato solo per un quesito. Senza quelle parole, forse avrei votato no a tutti e cinque».
Più tecnico il giudizio del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha sottolineato l’elevato costo del processo:
«Forse è il caso di cambiare la legge: abbiamo speso un sacco di soldi per inviare schede all’estero che sono tornate bianche. La Cgil ha intaccato l’unità sindacale e si è tradotto in una cocente sconfitta. Ancora una volta ha vinto la maggioranza».
Infine, Carlo Calenda su X ha sintetizzato così il fallimento politico:
«Il referendum è diventato uno strumento abusato. Non si può trasformarlo in una consultazione contro Meloni: è stato un clamoroso autogol. La sinistra, così, non va da nessuna parte».
Il referendum resta uno strumento previsto dalla Costituzione, ma il mancato quorum mostra ancora una volta tutti i limiti di una consultazione che rischia di diventare più un sondaggio politico che una reale scelta popolare. E la distanza tra Paese reale e battaglie simboliche continua a crescere.