Se i genitori pensano di non essere colpevoli delle strade intraprese dai propri figli, mentono sapendo di mentire. «È sempre colpa dei genitori!», che lo si voglia ammettere oppure no. Il fenomeno delle baby gang, ormai tema ricorrente nella cronaca odierna, impone oggi un ulteriore passo avanti: interrogarsi sul ruolo della famiglia, della scuola e dell’ambiente sociale che formano – o deformano – l’identità dei più giovani. Ne parliamo con la dottoressa Alessia Giannatempo, psicologa esperta in adolescenza e relazioni disfunzionali, con esperienza diretta nelle scuole italiane.
Dottoressa Giannatempo, perché oggi tanti adolescenti finiscono coinvolti in episodi di violenza?
È un cambiamento profondo, sociale prima ancora che psicologico. Siamo passati da un’educazione autoritaria – che non era certo ideale – a un modello amicale, in cui i genitori smettono di essere guide. Vogliono piacere ai figli, essere complici, ma così rinunciano al loro ruolo educativo. Il risultato? Ragazzi senza confini, che vogliono tutto e subito, e non distinguono più tra diritto e desiderio.
Questa mancanza di limiti è generalizzata o varia da contesto a contesto? Cambia molto. Nelle periferie abbandonate del Sud, ad esempio, i modelli devianti sono dappertutto. In quei contesti, intere famiglie vivono nella devianza da generazioni. Il crimine non è un’eccezione: è la norma. Dove lo Stato arretra, i ragazzi crescono senza alternative visibili, e la violenza diventa quasi una scelta obbligata.
Che possibilità ha oggi la scuola di offrire un’alternativa?
La scuola prova a farlo, ma è in difficoltà crescente. Non per mancanza di volontà, ma perché viene sistematicamente delegittimata. I genitori mettono in discussione l’autorità dei docenti, anche di fronte a provvedimenti giusti. Così, l’alleanza educativa si spezza e la scuola diventa un contenitore svuotato di autorevolezza.
I social media amplificano questi comportamenti?
Sì, e in modo molto concreto. I ragazzi non hanno ancora una corteccia prefrontale sviluppata – la parte del cervello che controlla gli impulsi – quindi non distinguono bene tra spettacolo e pericolo. Se nessuno spiega loro la differenza, quella violenza che vedono online diventa normalità. Il problema non è solo l’accesso a contenuti violenti, ma la totale assenza di mediazione adulta.
Esistono segnali precoci che dovrebbero metterci in allerta?
Alcuni comportamenti impulsivi sono normali nell’infanzia. Il problema nasce quando questi impulsi non trovano confini. I ragazzi più vulnerabili, spesso quelli con meno autostima e meno sostegno, sono i più esposti. Le gang offrono appartenenza, identità, potere. Chi si sente “nessuno” è più facilmente attratto dal branco.
Il bisogno di appartenenza è quindi il cuore del problema?
Sì. Questi ragazzi cercano conferme, vogliono essere riconosciuti. E se la famiglia e la scuola non offrono validi modelli, li trovano altrove: nel gruppo, nella forza, nella paura che riescono a incutere. È una dinamica di potere, ma anche una richiesta disperata di attenzione.
Il bullismo è legato a questi fenomeni? Solo in parte. Il bullismo è un fenomeno distinto, con dinamiche precise. Ma anche lì c’è una crisi del modello educativo. Oggi certe forme di aggressione vengono riconosciute come violenza, mentre in passato venivano banalizzate. È un segnale positivo, ma non basta.
Che cosa si può fare per arginare la diffusione delle baby gang?
La devianza non si può eliminare del tutto, ma si può limitare. Bisogna riconoscere che l’attuale modello educativo ha fallito. I ragazzi non hanno bisogno solo di ascolto, ma anche di guida. Serve ridare autorevolezza agli adulti, ristabilire ruoli chiari, rafforzare la collaborazione tra scuola e famiglia. Non possiamo lasciare i giovani soli davanti a uno schermo o a un branco.
Quali strumenti servono ai genitori per tornare ad essere educatori efficaci?
Formazione vera, non solo sull’affettività. Serve un “parental training” per recuperare il senso del proprio ruolo. I genitori devono imparare a dire no, a dare regole, a essere presenti con autorevolezza, non con controllo soffocante ma con responsabilità. I figli hanno bisogno di adulti che li guidino, non di compagni di giochi.
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