Il carciofo, a Sezze, non è solo un ortaggio. È un simbolo. Dietro ogni foglia si cela una memoria, un gesto contadino, un’eredità nobiliare. La Sagra del Carciofo – che quest’anno, per la prima volta, si estende su due giorni, il 12 e 13 aprile – non racconta solo un sapore, ma un’intera identità. Un intreccio di cultura, passione e appartenenza che ogni primavera si rinnova, quando il paese si veste d’epoca e riscopre la sua anima più autentica.
A guidarci in questo viaggio nel cuore della tradizione è Roberto Vallecoccia, presidente dell’associazione Memoria Storica, protagonista dello stand “Colli tutto l’anno”, coordinato da Antonella Costantini. Un presidio culturale che racchiude anche il lavoro del Comitato del Biglietto, gruppo di cittadini da anni impegnati nella valorizzazione della memoria storica locale.
«Porteremo in scena la Sezze del Settecento», racconta Vallecoccia con entusiasmo. Le donne del comitato indosseranno abiti d’epoca ricostruiti fedelmente a partire da stampe originali del XVIII secolo. Si ispirano alla figura della donna setina: corsetto, capelli raccolti con spilloni e fiocchi, ma – elemento distintivo – niente fazzoletto sul capo, a differenza di molte coetanee dell’epoca.
Accanto a loro, anche quest’anno, ci saranno i ragazzi di Maenza, conosciuti come I Disperados: da oltre vent’anni collaborano con il gruppo, portando musica popolare, pizzica, tarantella e i celeberrimi “sonetti alla rispettiva e alla morosa” – duelli poetici in rima, arguti e maliziosi, che sanno coinvolgere e divertire il pubblico.
Ma parliamo di carciofi.
«Una cosa importante da chiarire – precisa Vallecoccia – è che non esiste il carciofo ideale. Dipende tutto dalla semenza. Alcuni sono più adatti per essere gustati crudi, altri al forno, alla giudia… ognuno ha caratteristiche diverse».
Quello tipico di Sezze è piccolo, compatto, tenero e dolce, con pochissimo scarto. Quando si apre e mostra il suo cuore giallino, è pronto: il segno che la sua dolcezza è al massimo. Ma oggi, trovare questa varietà è sempre più difficile: è una tipologia medio-tardiva, che non si adatta ai ritmi serrati del commercio moderno.
E l’origine? «Sfatiamo un mito: il carciofo di Sezze non nasce dal popolo. Ha origini nobiliari. Era presente già nei giardini delle corti francesi del Settecento, poi giunto in Italia grazie ai legami tra le aristocrazie europee. Napoleone Bonaparte e la famiglia Ruspoli furono protagonisti di questo passaggio culturale. Letizia Ruspoli, pronipote di Ippolito, visse a Sezze e sposò Mario Rampini, marchese del Castello di Castel Delfino. Non a caso, anche a Cerveteri – città legata ai Ruspoli – si celebra una sagra del carciofo. Non è rivalità: è una storia condivisa.»
Anche le ricette sono cambiate nel tempo: «Un tempo si preparava al forno, in modo semplice. Oggi vanno per la maggiore i carciofi fritti: più scenografici, ma anche più impegnativi. Servono olio di ottima qualità, pane buono e tanta pazienza. Sfogliare mille carciofi? È una guerra, te lo assicuro!» scherza Vallecoccia.
La Sagra, però, non è solo gastronomia: «Dietro c’è cultura, storia, passione. E soprattutto:
memoria» sottolinea.
E a chi gli chiede cosa si aspetti da questa edizione così speciale, risponde:
«Spero in una sana complicità e in uno spirito d’accoglienza vero. Non dev’essere un evento pensato solo per fare cassa, ma una celebrazione della qualità. Un evento di due giorni così lo aspettavamo da anni. Ci si gode l’evento sicuramente di più. Ma comprendo che raddoppia anche l’impegno, e per questo va riconosciuto il merito alle istituzioni che hanno raccolto la sfida. Non è scontato. È la prima volta nella storia della Sagra. Speriamo sia solo l’inizio».
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