EL CONDE
Regia: Pablo Larraín
Genere: Horror, commedia, grottesco
Interpreti: Jaime Vadell (Augusto Pinochet), Gloria Münchmeyer (Lucía Hiriart), Alfredo Castro (Fëdor), Paula Luchsinger (Carmencita), Catalina Guerra (Luciana Pinochet), Marcial Tagle (Anibal Pinochet), Amparo Noguera (Mercedes Pinochet), Diego Muñoz (Manuel Pinochet), Antonia Zegers (Jacinta Pinochet), Stella Gonet (Margaret Thatcher), Clemente Rodríguez (Claude Pinochet)
Paese/Anno: Cile/2023
Durata: 110′
Dove vederlo: su Netflix dal 15 settembre
5,5/10
Forse nessun altro regista all’infuori di Pablo Larraín – o, almeno, tra quelli della sua generazione – ha saputo raccontare con umana profondità e acuta coscienza analitica il golpe perpetrato da Augusto Pinochet, la radicalizzazione del male come elemento endemico della condizione umana e l’oscurità che ha ammantato il Cile nel successivo ventennio di fascismo, scrutando all’orizzonte le lugubri conseguenze nella storia “recente” dell’ecosistema socio-politico occidentale: nella parabola che parte da Tony Manero, prosegue con Post Mortem e termina con No – I giorni dell’arcobaleno, si unisce idealmente Il club. Una sequenza di titoli che compongono un mosaico lucido e spietato, che inscenano un dramma a cui viene infuso un ampio respiro, connesso più alla ricezione di esso, che a un tentativo biografico e storiografico svuotato dalla dinamicità di ulteriori punti di vista.
Con El Conde, presentato all’ultimo festival di Venezia e ora disponibile in streaming su Netflix, Larraín torna sulla figura ingombrante, leviatanica di Augusto Pinochet, stavolta cambiando registro narrativo, per affidarsi a un’impalcatura horror-comedy, saturata da un bianco e nero che non riesce, tuttavia, a caricare la pellicola della giusta atmosfera onirica-surreale. L’elemento grottesco è dato dalla scelta – eppure geniale – di convertire Pinochet da individuo malvagio per la Storia a essere maligno per indole: un vampiro che si nutre del sangue della gente e della linfa delle società attraverso cui prospera, prima spietato soldato alla corte di Luigi XIV, infine dittatore dipendente dal proprio ego che, alla ricerca di una morte risolutrice, ritrova uno scopo all’arrivo di suor Carmencita, incaricata sottotraccia dalla Chiesa di depredare Pinochet di ogni lascito prezioso.
Nonostante l’intenzione di Larraín di discostarsi prepotentemente dalla propria epica narrativa, nella quale umanità e afflato sentimentale costituiscono le fondamenta del racconto di uno o più protagonisti, in El Conde ciò che non funziona non è tanto la volontà di mettere in scena un racconto che non aggiunge altro, rispetto a quanto già sapientemente mostrato nelle opere su citate – e perfettamente riuscite! -, ma l’indecisione formale su cui il regista cileno incespica: El Conde non è una commedia, perché priva di umorismo – e né attraverso la voce fuori campo, né durante le riunioni di famiglia, momenti più spiccatamente votati a suscitare ilarità, Larraín riesce nell’intento di smuovere una mezza risata -, così come è un horror riuscito solo a metà – eccolo il peccato più grande! Così, El Conde è un film che procede a compartimenti stagni, spesso dimenticandosi della propria natura vezzeggiante – l’unico notevole lirismo è il volo estatico della vampira Carmencita -, che finisce, guarda caso, nel concedersi licenze drammatiche più affini al cinema tutto di Larraín – tra tutte, è emblematico il breve scambio di battute tra Pinochet e il suo fidato maggiordomo nella semioscurità delle segrete del generalissimo.
A tratti confusionario, El Conde intrattiene senza colpire, sviluppandosi ed esaurendosi come pigro tentativo di raccontare una stessa storia, che più che una visione, resta solo una futile intuizione.
Sicuramente il punto più opaco della carriera di Larraín.
Stefano Colagiovanni
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