GUARDIANI DELLA GALASSIA VOL. 3
Regia: James Gunn
Genere: Cinecomic
Interpreti: Chris Pratt (Peter Quill/Star-Lord), Zoe Saldana (Gamora), Dave Bautista (Drax il Distruttore), Karen Gillan (Nebula), Pom Klementieff (Mantis), Sean Gunn (Kraglin), Chukwudi Iwuji (Alto Evoluzionario), Will Poulter (Adam Warlock), Elizabeth Debicki (Ayesha), Maria Bakalova (Cosmo), Sylvester Stallone (Stakar Ogord)
Paese/Anno: U.S.A.,/2023
Durata: 150′
Dove vederlo: al cinema dal 3 maggio
8/10
Non è affatto facile per tutti i fan del Marvel Cinematic Universe confrontarsi con la consapevolezza di dover rinunciare per sempre ai Guardiani della galassia di James Gunn. E no, non si tratta di una sorta di appropriazione da titoloni, perché se i Guardiani sono riusciti a raggiungere un livello di popolarità e proseliti così elevato, il merito va tutto a James Gunn, demiurgo e deus ex-machina di una fetta importante del MCU. Nonché causa totalizzante dell’entusiasmo per la visione di un nuovo film del MCU.
Perché la ciurma di scalcagnati pirati-difensori spaziali capitanati da Star Lord rappresenta una delle vette del franchise d’autore di casa Marvel su grande schermo e non per una serie di casualità tutte al posto giusto nel momento giusto: se da una parte ci ritroviamo a simpatizzare per una serie di personaggi sempre adorabilmente sopra le righe, infinitamente più umani e umanizzati di qualsiasi altra macchietta ritrovatasi a pavoneggiarsi con nuovi superpoteri ereditati, lo si deve in primis a un lavoro di casting praticamente perfetto – uno degli esempi di grande acume e lungimiranza realizzati dalla macchina guidata da Kevin Feige; in parallelo, il valore aggiunto alle avventure dei Guardiani coincide con il bagaglio di idee e lo spregiudicato magma creativo di un autore che, a ben vedere, si è guadagnato a maniche larghe il trono di imperatore dell’affossato DC Extended Universe.
È James Gunn il guardiano della galassia Marvel, perché il suo stile e la sua poetica cinematografica non hanno rivali in tutto il MCU. E non si tratta di rivoluzionare un genere o di smontarne gli schemi, per originare qualcosa che nessuno ha mai visto prima. James Gunn non è un mago, ma un eccelso affabulatore, un autore spigliato e consapevole di cosa vuole mostrare: e i Guardiani della galassia hanno assimilato alla perfezione il suo stile e quella naturalezza narrativa che lascia intendere, senza sperticate interpretazioni, quanto a James Gunn questo lavoro coi supereroi riesca meglio di chiunque altri.
In un terzo capitolo dichiaratamente conclusivo, si riparte sapientemente dall’inizio, stavolta di Rocket – in tutto e per tutto un alter ego dello stesso Gunn -, personaggio creato in laboratorio, ma evoluto perché in grado di sviluppare una personalità empatica e strabordante: è Rocket l’antagonista naturale dell’Alto Evoluzionario, che tutto costruisce e tutto distrugge nel nome di una perfezione formale vuota e stantìa – e, quindi, per estensione, inutile -, così come Gunn è il rimedio contro l’essiccazione creativa dei recenti flop del MCU, di un politically correct sempre più radicato nel midollo di produzioni che hanno perduto innocenza, brillantezza e, soprattutto, genuinità nel raccontare quei sentimenti ed emozioni che hanno reso grande il MCU – in questo terzo capitolo, durante un battibecco, Gamora manda “affanculo” tutto l’equipaggio…un momento, in tal senso, assimilato quasi come una liberazione.
«Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità» e così sarà, fino alla fine di tutto. Così, apprezziamo e ci sentiamo sollevati, quasi salvati, dalle gag imperfette tra Drax e Mantis, dal corteggiamento spudorato e fanciullesco di Quill nei confronti di Gamora, dalla burbera dolcezza di Nebula e sì, perfino dalla monotona presenza di Groot. Eccolo qui il grande potere dei Guardiani della galassia di James Gunn: avere un’idea e riuscire a difenderla, raccontandola con stile.
Fan o no, un film come Guardiani della Galassia vol. 3 scalda il cuore. È cinema per tutti i palati, un’esperienza da condividere, per cui ridere, piangere e lasciarsi trasportare.
P.S.: una doverosa nota di merito va all’ennesima, straordinaria colonna sonora, autentica cifra stilistica del franchise, ma in particolare una menzione d’onore la merita la sequenza d’apertura, mentre seguiamo un malinconico Rocket cantare e lasciarsi cullare da una versione acustica di “Creep” dei Radiohead: l’idea, la visione, il sentimento. E non ci sono Eterni o Conquistatori che tengano.
Stefano Colagiovanni
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