Due anni di interdizione dai pubblici uffici. E’ questa la decisione dei giudici della Corte di Appello di Milano chiamati a rimodulare al ribasso la pena accessoria relativa all’inchiesta sui diritti tv che ha visto Berlusconi condannato in via definitiva a 4 anni di reclusione. Il collegio presieduto da Arturo Soprano ha accolto la richiesta del procuratore generale, Laura Bertolè Viale, e ha condannato l’ex premier a due anni di interdizione dai pubblici uffici. Il ricalcolo arriva dopo la decisione della Cassazione del primo agosto scorso e modifica la durata dell’esclusione dai pubblici uffici inflitta all’ex premier in primo e secondo grado. La richiesta della difesa di ridurre ad un anno la pena accessoria è stata dunque respinta. Berlusconi adesso potrà ricorrere in Cassazione, dopo un’attesa di quindici giorni (dovuta al deposito delle motivazioni). Sull’argomento è intervenuto a caldo l’avvocato dell’ex Premier, Nicolo Ghedini, che ha affermato: “Non avrebbe dovuto trovare ragione la pena interdittiva per le due questioni di legittimità costituzionale da noi sollevate, in particolare quella relativa al contenzioso fiscale, essendo stato fatto un accertamento con adesione e avendo Mediaset versato a settembre circa 11 milioni per le due annualità, 2002 e 2003, relative alla frode fiscale contestata al Cavaliere”. In aula solo Ghedini per la difesa, ma non il professor Franco Coppi. Immediate le reazioni. Il primo a parlare è stato il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti: “Evitiamo di scaricare sui magistrati i nodi del sistema politico. Prendo atto che ancora una volta in qualche modo la politica ha finito per delegare alla magistratura la risoluzione dei problemi e io che in questo momento rappresento la magistratura non sono contento. I problemi della politica li deve risolvere la politica”. Piccata la replica del coordinatore del Popolo della Libertà Sandro Bondi, che spiega: “Le dichiarazioni rilasciate da Vietti, in relazione alla decisione assunta dal tribunale di Milano, denotano la sua totale incoscienza dei problemi afferenti al rapporto fra l’ordine della magistratura e la democrazia”.