È una biografia di Enrico Ibsen, drammaturgo e poeta norvegese, in cui le divagazioni sulla donna e sul femminismo spadroneggiano. A tale proposito l’autore, Alberto Savinio, scrive: “Un abisso separa la donna dall’uomo, ma anche gli abissi si colmano e a colmare questo abisso provvede il femminismo. Per avere una immagine precisa di come avviene questa operazione di riempitura, basta ripensare al traforo del Sempione”. Il libro, “Vita di Enrico Ibsen”, apparso per la prima volta a puntate sul periodico “Film” tra il maggio e il luglio 1943 e pubblicato in volume solo nel 1979, ora è stato ripubblicato da Bibliotheka, con un’introduzione di Gioconda Carrabs. A quei tempi, nel 1943, i temi del femminismo non erano attuali, ma l’autore li descrive con un certa chiarezza e conoscenza, e aiutandosi con l’ironia, li analizza come se li avessi già vissuti. Insomma la sua è una vera e propria chiaroveggenza. Non solo dimostra di conoscerli bene, i due temi, ma pare che abbia conosciuto personalmente lo stesso Ibsen, soprattutto per come si rivolge a lui: «Che altro ti ho da dire, Enrico? Coloro che leggeranno questa tua vita scritta da me, diranno che della tua vita si dice ben poco e si fanno invece molte divagazioni. Perché non sanno. Non sanno che queste “divagazioni” sono invece le cose che tu stesso ti ripromettevi di dire quando la morte ti rapì, e ora finalmente hai potuto dire per mezzo mio».
È impossibile che Savinio conoscesse Ibsen. Perché Ibsen è morto nel 1906 e lui è nato quindici dopo, nel 1891. E Ibsen poi è nato a Skien, una cittadina del Norvegia sudorientale, e lui ad Atene. Alberto Savinio èlo pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico ed è fratello del pittore Giorgio de Chirico. Studiò pianoforte nel conservatorio della sua città. Si trasferì con la famiglia a Venezia, Milano e Monaco di Baviera, poi a Parigi, dove conobbe Picasso e molti esponenti delle avanguardie. Arruolato nell’Esercito italiano, venne inviato come interprete sul fronte macedone. Dopo la guerra si trasferì a Milano e poi a Roma, dove fu tra i fondatori della Compagnia del Teatro dell’Arte diretta da Luigi Pirandello. Nel 1927 si trasferì nuovamente a Parigi e si dedicò alla pittura. Tornò definitivamente in Italia nel 1933. Collaborò con La Stampa e Omnibus di Leo Longanesi. Attraverso il suo editore di riferimento, Valentino Bompiani, si avvicinò ad Alvaro, Bontempelli e Debenedetti. Inserito in una lista di sospetti antifascisti, fu costretto a nascondersi. Convinto europeista, dopo la Seconda guerra mondiale collaborò con il Corriere della Sera, vincendo nel 1949 il Premio “Saint-Vincent” per il giornalismo.
Roberto Campagna




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