Certe pubblicazioni diventano scomode non perché controverse, ma perché fin troppo aderenti alla realtà. Centro della tempesta, il nuovo libro di Donato Bendicenti – giornalista e corrispondente Rai da Bruxelles – si è rivelato tale. Presentato ieri alla libreria Feltrinelli di Latina, l’evento ha visto la partecipazione dell’europarlamentare di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini e la moderazione di Sarina Biraghi, giornalista de La Verità. Un confronto lucido su uno scenario geopolitico in continua mutazione, in una notte segnata ancora una volta dal rumore delle armi.
Bendicenti, sollecitato dalla Biraghi su “come dovrebbe porsi l’Europa di fronte a ciò che è accaduto stanotte”, non ha offerto facili ottimismi: «Se il mio libro, pubblicato poche settimane fa, non è ancora invecchiato, allora è un pessimo segno. Sono stati cinque anni accelerati. La complessità è aumentata esponenzialmente». Un’analisi che non si affida alla cronaca, ma che tenta di trovare un filo rosso tra eventi che sembrano appartenere a contesti diversi, ma che in realtà tracciano un’unica traiettoria: quella della fragilità europea.
Dalla guerra in Ucraina all’escalation in Medio Oriente, l’autore sottolinea come la risposta diplomatica dell’Unione sia stata spesso tardiva, timida, a volte persino contraddittoria. «Ripetere ossessivamente che questa escalation non deve avere luogo è forse retorico», ha ammesso, «ma in questo momento resta necessario. L’unica arma che abbiamo è ancora quella della diplomazia».
L’Onorevole Procaccini ha preso parola con una riflessione disillusa: «In questo momento bisogna scegliere da che parte stare. Non in nome di ideologie, ma per un interesse concreto, nazionale. L’ordine mondiale da cui l’Europa ha tratto beneficio per decenni è in discussione, e chi ne ha goduto di più – noi – non può pensare di rimanere neutrale».
L’Europa, ha insistito, si è illusa che la pace fosse una condizione naturale. Ma la pace, ha ricordato con un tono quasi pedagogico, «non è lo stato normale dell’umanità, è un’eccezione». Una lezione che oggi torna come un ammonimento, mentre i conflitti si moltiplicano e la difesa comune resta un progetto incompiuto.
Il dibattito si è poi spostato sul ruolo degli Stati Uniti, con Biraghi che ha evidenziato un atteggiamento di “disimpegno strategico” da parte americana. L’ambiguità delle dichiarazioni di Trump, la riluttanza a farsi carico di una leadership militare globale, la delega implicita all’Europa di “badare a se stessa” sembrano confermare una mutazione geopolitica in atto.
Procaccini, ancora una volta, non si è sottratto alla chiarezza: «La politica estera americana, soprattutto con i repubblicani, tende a guardarsi dentro. Ma se vogliamo beneficiare della sicurezza, dobbiamo anche contribuire a garantirla. Con fondi, infrastrutture, e una visione strategica».
In sottofondo, il peso crescente della Cina, definita da Bendicenti «un decisore silenzioso» che, con il suo ruolo economico e diplomatico, condiziona oggi ogni possibile esito, dall’Ucraina al Medio Oriente. Un’ombra lunga che fa apparire l’Europa sempre più marginale.
Non è stato un dibattito per anime ingenue. Nessuna retorica, nessuna contrapposizione netta tra buoni e cattivi. Solo la consapevolezza che siamo, tutti, nel centro della tempesta. E che da lì non si esce con le formule, ma con decisioni.



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