«Sono una scrittrice. Mi sono mai sentita meno rispettata per questa ragione? Forse, qualche volta. Ho lasciato che questo mi infastidisse? No, perché non posso farci nulla se non fare il mio mestiere il meglio possibile».
Così apre la Lectio Magistralis Elizabeth Strout, con cui si inaugura la prima giornata del Salone del Libro di Torino, accolta, alla sua entrata, da uno scroscio prolungato di applausi da parte del numeroso pubblico, 450 posti per l’esattezza.
Tanti no, tanti romanzi rifiutati o liquidati con commenti che la incitano a mollare ma una sensazione, dentro di lei, che la spinge a perseverare. È proprio quello stesso istinto che la porta ad essere la scrittrice di enorme successo che è oggi.
Infatti la Strout, classe 1968, nel 2009, ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa con il romanzo Olive Kitteridge (2008), che è stato anche premiato con il Premio Bancarella nel 2010 e il Premio Mondello nel 2012. Alcuni dei suoi romanzi di successo includono I ragazzi Burgess (2013) e Mi chiamo Lucy Barton (2016). Il suo seguito, Lucy davanti al mare, è stato pubblicato nel 2022, e ha già annunciato un altro romanzo intitolato Tell Me Everything, previsto per l’uscita ad agosto 2024 negli Stati Uniti.
Una vocazione la sua che nasce da bambina, quando gioca nel bosco incontaminato del New Hampshire, incoraggiata dalla mamma, Beverly, che la sprona da subito a scrivere, da quello che si fa scuola al descrivere il calzolaio dove comprano le scarpe, e a osservare le persone.
«Mia mamma mi ha sempre stimolata e fu proprio lei a darmi dei quaderni chiedendomi di scrivere quello che avevo fatto oggi. Se andavamo a comprarmi le scarpette da ginnastica rosse mi diceva di descrivere il venditore» così la Strout ricorda la madre con grande affetto durante la Lectio al Salone.
«Ma non basta scrivere tutti i giorni sotto consiglio della mamma per essere scrittori», così dice convinta l’autrice.
Serve costanza, perseveranza.
La sua infatti è una passione, che la porta nel corso della vita a fare sacrifici, tra il lavoro da barista a Oxford e la scuola di legge, purché l’unica costante resti la scrittura.
Negli anni impara a osservare attentamente le persone, cerca di capire cosa avessero in testa anche se afferma che «è impossibile capire gli altri, ma possiamo capire solo noi stessi». Ma sulla metro si diverte a imitare le espressioni della gente seduta di fronte a lei e ad entrare in empatia con loro. «Una volta ho imitato l’espressione corrucciata di un uomo – racconta la Strout- nel farlo ho capito quanto cupa dovesse essere cupo».
Una caratteristica che diventa la cifra stilistica dei suoi libri, nelle storie che decide di narrare, nella loro forma più rivoluzionaria.
Una donna scrittrice da cui apprendere la lezione fondamentale per rincorrere i propri sogni: «Just keep going».


