A Natale è tempo di serenità ma anche di riflessione: tra i suggerimenti di lettura è doveroso includere “Il senso della vita. Da madre, da donna, da professionista e da ex detenuta”, il libro di Angela Tibullo per Albatros edizioni che racconta la sua esperienza, prima da addetta ai lavori e poi vivendo la detenzione in prima persona, in un carcere femminile. Calando il velo sui pregiudizi comuni, il libro della Tibullo fa chiarezza su una realtà considerata estranea a chi conduce un’esistenza condotta suoi binari dell’ordinarietà. Angela Tibullo, esperta e affermata criminologa, accesa sostenitrice dei diritti umani, improvvisamente si trova inghiottita da un buco nero che implacabile e assetato di cattiveria le distrugge l’esistenza. Una vicenda articolata ha condotto la giovane professionista tra le sbarre di una prigione, tenendola lontana dai suoi cari e dalla sua amata bimba per ben settanta giorni. Giorni da incubo fatti di lacrime, speranze e preghiere inascoltate; Angela urla la sua innocenza con la disperazione di chi è accusato ingiustamente. Vive l’orrore delle condizioni igienico-sanitarie delle recluse, nulla che già non sapesse, visto che in precedenza aveva dibattuto molto di questi argomenti, ma viverli sulla propria pelle è tutt’altro. Dietro le sbarre della sua cella nasce quindi Il senso della vita, un testo che grida, che denuncia la disumanizzazione dei detenuti, che addita tutti coloro che hanno giocato con la sua esistenza, in primis la stampa, che da una notizia strampalata ha dato il via a un processo mediatico che l’ha sbattuta impietosamente in prima pagina. Consapevole delle condizioni precarie in cui verte la giurisprudenza riguardante il diritto penitenziario, rispetto al quale i relatori non sempre agiscono con la consapevolezza che la detenzione può spezzare la vita di un essere umano, Angela Tibullo, resiliente e con il cuore carico di fede, guarda al futuro negli occhi di Ginevra, la sua amata, piccola “guerriera”. Un caso ancora aperto che tocca profondamente e ci riporta alla consapevolezza che il carcere è tra noi, fa parte della nostra architettura sociale e non possiamo considerarci civili se ignoriamo le storture della nostra società.




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