Cronaca

PRIVERNO, la tragica morte di Matteo Pietrosanti rischia di non avere nessun colpevole

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Potrebbe incredibilmente restare senza un colpevole la morte di Matteo Pietrosanti, il 15enne di Bassiano morto il 3 marzo 2022 sul terreno di gioco dello stadio “D’Annibale” di Priverno dopo aver avuto un malore durante un allenamento con la sua squadra, i Giovanissimi della società sportiva Palluzzi. Il prossimo 26 maggio, infatti, il Tribunale di Latina dovrà decidere sull’opposizione che la famiglia e i suoi legali hanno presentato rispetto alla richiesta del Pubblico Ministero Giuseppe Miliano di archiviare il faldone aperto dopo la tragedia e di non procedere nei confronti di eventuali responsabilità, sia prima di permettere a Matteo di scendere in campo, sia durante quei terribili minuti che poi lo hanno condotto alla morte prematura.

Sul tavolo del giudice, come chiesto con insistenza dalla famiglia di Matteo tramite i propri avvocati, finirà la relazione del medico che si è occupato dell’autopsia sulla salma del giovane e di due suoi colleghi. In questa sono riportati alcuni passaggi che evidenziano evidenti discrepanze tra la situazione fisica di Matteo Pietrosanti (con un caso di problemi cardiaci in tenera età nel passato della famiglia) e l’opportunità di firmare il nullaosta per permettergli di praticare attività agonistica, il calcio che lui tanto amava e quel ruolo da portiere che svolgeva praticamente da quando aveva iniziato in tenera età a calcare i campi di gioco in provincia di Latina. Le visite cui era stato sottoposto, come espresso chiaramente nella relazione dei medici che si sono occupati di chiarire gli aspetti che lo hanno condotto alla morte e che hanno usato i termini “superficiali e censurabili”, avrebbe dovuto spingere chi l’ha visitato a predisporre controlli più accurati, sicuramente non a dargli l’idoneità sportiva.

Discorso molto simile si può fare su quel maledetto 3 marzo 2022, dal momento in cui Matteo cade esanime durante una partitella fino alla morte confermata circa un’ora più tardi. Era presente un defibrillatore sul campo come prevedeva (e prevede ancora) la normativa vigente? Era funzionante? C’erano persone formate per utilizzarlo? Perché non è atterrata l’eliambulanza che avrebbe dovuto trasportarlo in una struttura idonea? Queste, e non solo, le domande che tramite i propri legali si stanno facendo (e fanno al giudice che dovrà decidere se proseguire nel processo) i familiari di Matteo, che oggi, a poco più di un anno da quel tragico evento, non solo non riescono ancora a capacitarsi della tragedia che li ha colpiti e gli ha tolto un figlio di 14 anni (ne avrebbe compiuti 15 un mese dopo quella terribile giornata), ma temono che per quella morte non ci saranno responsabili.

Una inevitabile tragedia, un destino beffardo. Forse. Ma se così non fosse? Se qualcuno poteva intervenire prima e non l’ha fatto per negligenza? Se quel campo e quelle persone non fossero pronte ad un’evenienza simile? Ne siamo così sicuri? È per questo che la famiglia attende con ansia e preoccupazione questa nuova fase di un processo che rischia seriamente di non essere mai celebrato. Ne perderebbero tutti, la famiglia, gli amici, i compagni di squadra di Matteo non avrebbero quelle risposte che da 14 mesi cercano con insistenza e, probabilmente, quella morte non permetterebbe ad altri ragazzi di non avere la stessa tragica sorte.

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