PRIVERNO, lo spettacolo teatrale “Gli ultimi di carnevale” overo Per Santità Finta in Sommo Grado
Roma. Carnevale del 1743. I “grandi freddi” (la peste) stanno seminando vittime fra la popolazione romana. Ma tutto sembra procedere normalmente: la festa al Corso, gli spettacoli teatrali, la corda data ai rei. Fra le vittime, un Eminente Cardinale. Due donne, originarie dello stesso paese del defunto, strane figurine dall’identità incerta – sospese tra l’essere donne del popolo, povere maschere, attrici ambulanti o colte girovaghe notturne – si aggirano in uno spazio occupato solo da vecchie casse di legno, con le quali disegnano i luoghi dei loro racconti. Sanno che non potranno né recitare, né andar di notte dopo l’Angelus. Ma l’intenzione delle due è ben diversa: proprio davanti S. Maria sopra Minerva, sede dell’Inquisizione, mettono in scena l’istruttoria vera fatta ad una donna anni prima. La fame, il freddo, i ricordi, le passioni, daranno origine ai racconti e alle visioni dei molti personaggi, attraverso i quali, in un’intricata successione dei fatti, le due girovaghe porteranno in luce l’ingiustizia di un’altra condanna dell’Inquisizione, data ad un’altra donna del loro paese. I ruoli sono affidati solo alle due attrici, che, utilizzando diversi registri recitativi, nonché varie lingue – dal latino all’italiano antico, al dialetto e anche con il canto – impersoneranno tutte le figure, attraverso la continua affabulazione e gioco – tragicomico –tra santità e finzione (del teatro, della visione e dei fatti realmente accaduti).
Il testo rappresenta il lavoro finale della lunga ricerca, trascrizione, studio di antichi documenti attestanti il processo per santità finta in sommo grado nei confronti di Maria Valenza Marchionne, di Sezze, monaca clarissa, che abiurò a Santa Maria sopra Minerva di Roma il 12 Settembre 1703, all’età di 73 anni. Morì in carcere nel 1707. La condannata era sorella del futuro Santo Carlo da Sezze (paragonato, per la sua esperienza mistica, a S. Teresa d’Avila e a Giovanni della Croce), il cui contemporaneo processo di santificazione, venne inficiato (e rimandato di oltre 250 anni) da questa condanna. Molti personaggi ruotano intorno a questo fatto: donne a lei contemporanee, le cui caratteristiche di costruzione della santità sono identiche a Valenza, ma soggette all’obbedienza dei loro confessori; altri uomini potenti, tra cui Papi e Cardinali, che ebbero un ruolo decisivo nella vicenda. Le autrici intendono lanciare il dubbio che la condanna della sorella sia stata costruita ad arte per inficiare quella di beatificazione del fratello, in un periodo in cui l’ascendente potere dei Gesuiti era in forte contrasto con quello dei Francescani, anche nella gestione socio-economica dei territori da loro occupati. Oltre questi aspetti politici, alle autrici interessa la dimensione umana dei personaggi, cercando di restituire loro spessore drammatico e poetico, in una sorta di pietà laica, dove il motivo fondante è la convinzione che le donne, ancora oggi, faticano molto ad affermarsi con “spirito proprio”, specialmente nelle arti e che il teatro stesso è costretto ad andar di notte.
La trasposizione scenica del lavoro di ricerca ha dato vita allo spettacolo.