Per chi non lo conoscesse, Franco Vitelli è un uomo appassionato. Un artista viscerale. E ciò che più colpisce di lui, oltre ai modi gentili e conviviali e a una voce cavernosa, sono le sue mani: ruvide e rocciose, mani antiche di un artista-artigiano moderno.
L’ultima opera di Franco Vitelli è in mostra a Priverno, divisa tra il museo archeologico e la Galleria dei portici comunali. Si chiama “Spolia” ed è la summa del lavoro decennale dell’ultimo dei cosmati.
«Sono ormai tanti anni che mi occupo del lavoro dei cosmati e dei marmorari, modificando opere già esistenti e rielaborandone a mio piacimento. Ho sempre avuto questa passione per le geometrie antiche e per le composizioni cosmatesche. Prima mi divertivo a dipingerle, dopo ho iniziato a svolgere un lavoro coincidente con quello dei marmorari. Dopo trent’anni di laboratorio-opicifio Sectilia (il suo luogo di lavoro, dove realizza mosaici in marmo), mi rendevo conto che la teoria cosmatesca, gli stili e la valenza dell’arte del recupero stessa si facevano strada tra i miei lavori e così ne ho realizzati, piano piano, mettendoli poi da parte, fino a quando, avendo un gran numero di queste opere, ho deciso di metterle insieme e mostrarle».
La bellezza delle opere di “Spolia” in mostra è disarmante, fuori dal tempo. Perché viene naturale pensare alla dedizione inossidabile con la quale l’artigiano si adopera per il compimento di un percorso teorico e pratico che trascende i secoli, per apparire oggi tanto inafferrabile, quanto a posteriori anche necessario. Ed ecco che diventa quasi scontato chiedersi del perché: da dove nasce questa necessità? «Questa necessità, oltre a valorizzare l’antica arte cosmatesca, si muoveva in parallelo con una certa ricerca dell’arte contemporanea, perché l’una non esclude l’altra. Ecco, partendo dall’arte cosmatesca e dalle sue geometrie, ho iniziato a eliminare alcune parti, a metterne insieme altre, usando anche materiali diversi dal marmo, come il rame, il piombo, il ferro, lo “specchio antico”, il legno. Ecco il motivo del nome “Spolia”, perché tutto si muove attraverso un lavoro di recupero di materiali antichi, poi assemblati con altri che apparentemente sembrano in contrasto con essi, mentre finiscono per completarsi».
Sui quadrati e le figure oblique, lungo semicerchi splendenti e schegge “in movimento”, attraverso spirali di conturbante precisione, l’occhio scivola e si perde tra le costruzioni del magister Vitellius Setinus. È impossibile restare indifferenti davanti all’eleganza di accurate forme irregolari, alla grazia del contrasto cromatico che affiora tra tasselli di marmo antico e materiali moderni. È l’incantamento dello stregone-artigiano, che infonde nuova vita in ciò che è inanimato. «Ben dodici anni fa ho iniziato a pensare a questo tipo di opere e di lavoro. Questa mostra è il prodotto finale di anni di ricerca e di studio, ma anche una specie di nuovo inizio. Insieme a basi puramente teoriche o ideali, c’è stata una ricerca accurata di quei materiali usati dai romani, nel Mediterraneo, dal nord Africa a zone desertiche quasi ai confini dei territori medio-orientali. Per queste mie opere ho utilizzato solo marmi antichi, nel senso che nessun frammento di questi marmi proviene da cave moderne. Alcuni li mettevo da parte, li riutilizzavo. È stata una ricerca faticosa e coinvolgente. Io costruisco, poi spezzo, taglio, scompongo e ricostruisco di nuovo, in varie forme e dimensioni, finchè mi ritengo soddisfatto. È una specie di ossessione, un processo cadenzato da intuizioni, tecnica e slanci emotivi. Compongo, distruggo, riassemblo. È il lavoro del cosmato a modo mio».
Accanto a noi, c’è Ester Marchionne. Scrupolosa studiosa e storica dell’arte, radiosa di un fascino esotico, sodale di Franco per “Spolia”. «Per far sì che qualcuno riesca a realizzare qualcosa di nuovo, il passaggio per la tradizione è quasi inevitabile. Franco è stato molto abile, paziente e tenace, perché ha riportato “in vita” un’arte nata nove secoli fa e caduta in disuso sette secoli fa, se si esclude una lievissima ripresa intorno all’Ottocento. Ma poi nulla più. Questa mostra non è solo un’esperienza visiva, ma soprattutto tattile: c’è insito un invito a toccare e saggiare la composizione materiale di tutti questi elementi eterogenei che compongono le varie opere. Passando dal fragile vetro, al piombo e al rame e al legno che è più caldo, si raggiunge il freddo marmo, in un percorso di percezione quasi caleidoscopica, impreziosita da un’esplosione ipnotica di colori».
Quando Franco si sposta nuovamente tra le sue geometrie da demiurgo dei cosmati, ricerca con le mani ulteriori significati sulle superfici, stavolta senza toccare nulla. Prima di salutarci mi racconta un aneddoto curioso: «Una volta ero a Ravenna. A un certo punto capii che qualcuno aveva chiamato l’ambulanza. Ero sdraiato per terra, immobile, cercando il contatto a pelle, per “sentire” quei marmi meravigliosi. Pensavano fossi morto».
P.S.: “Spolia” resterà aperta al pubblico fino a domenica 11 settembre. Per l’occasione, nei pressi dei portici comunali di Priverno, a partire dalle 18:30, si esibirà la compagnia rinascimentale “Tres Lusores”, accompagnata dal gruppo strumentale “Fanfarra Antiqua”. Una ragione in più per non mancare.
Stefano Colagiovanni












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