Quando la natura inizia a riprendersi i suoi spazi, molto spesso si creano situazioni che l’uomo non riesce a gestire, ma può limitarsi a sperare che i danni siano contenuti e che ci siano margini per assorbire l’impatto, fare la conta di quanto perduto e ridurre il rischio idrogeologico a cose fatte. Ma quando è proprio la mano dell’uomo ad innescare i presupposti perché una natura danneggiata torni a far sentire la sua forza? Verrebbe da pensare immediatamente alla questione legata all’abusivismo edilizio, con l’Italia che è lo specchio di questa pratica barbara e che nel corso di qualche decennio ha visto aumentare esponenzialmente i rischi di dissesto provocati dalle colate di cemento che in alcuni luoghi proprio non si potevano fare.
A Sezze, invece, oltre alla questione legata ad uno storico abusivismo edilizio, soprattutto concentrato nella zona di Suso, quando chi abitava in centro iniziò a preferire la calma della piana e della campagna piuttosto che i problemi derivanti dal vivere all’interno delle mura setine, negli ultimi tempi si sono registrati diversi eventi che probabilmente non sono soltanto iniziati a causa della cementificazione selvaggia, ma che comunque sono stati posti in essere, nella stragrande maggioranza dei casi, dalla mano dell’uomo, gli incendi boschivi. Il fenomeno, tristemente tipico della stagione calda ma non solo, si verifica ormai da decenni e i motivi che spingono qualcuno ad appiccare volontariamente un incendio sono diversi, dal semplice gusto (classificato come malattia, la piromania) di vedere cose bruciare e persone che intervengono per spegnerle, fino ad interessi personali legati alla pastorizia (con l’erba che ricresce dopo un incendio che è più buona dell’erba secca pre roghi, all’edilizia e alle destinazioni d’uso dell’area interessata. Nella zona dei Lepini ogni stagione calda, ottimisticamente da marzo a dicembre, si contano centinaia di incendi, con Vigili del Fuoco e volontari della Protezione Civile a correre da una collina all’altra per ridurre al minimo i danni provocati dal fuoco.
A Sezze, però, questi danni sembra abbiano iniziato a verificarsi anche dopo diverso tempo dagli episodi di incendi e a farlo notare è stato Gianluca Calvano, esperto conoscitore del territorio anche grazie all’impegno che da tanti anni sostiene per difenderlo con i suoi colleghi della Protezione Civile. Quello che da qualche tempo sta accadendo nel quartiere di Casali e in altre zone della città sarebbe figlio delle conseguenze dei roghi degli anni passati. Nel terzo tratto del popoloso quartiere alle porte di Sezze, infatti, i veri e propri fiumi di acqua e fango che si creano ogni volta che piove, anche se in misura bassa, sarebbero provati dall’assenza di quella vegetazione che è stata cancellata dalle fiamme negli anni precedenti e che aveva il compito di drenare in qualche modo il flusso delle acque. Ipotesi che avrebbero bisogno di un sostegno scientifico, sicuramente, ma già a vista d’occhio si comprende, per esempio, che il fuoco scatenatosi qualche centinaio di metri più in alto rispetto al quartiere, nel mese di agosto 2019, ha evidentemente fatto saltare quegli argini naturali che adesso provocano disastri. E le stesse situazioni si stanno verificando in altre zone, via della Pace e Monte Trevi soprattutto.









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