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Attualità

Gaeta, il circolo del Partito Comunista ha reso noti i risultati delle inchieste svolte sul lavoro stagionale

Ultimo aggiornamento: 16 Settembre 2018 11:04
Settimio Brandolini Pubblicato 17 Settembre 2018
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“L’inchiesta operaia anonima sul lavoro stagionale condotta dal Partito Comunista di Gaeta sui comuni del basso Lazio presso i dipendenti che hanno lavorato negli ultimi 3 anni si è svolta tra la prima settimana di Luglio 2018 e la prima settimana di Settembre 2018. Il campione esaminato rappresenta 63 lavoratori. Gli anni in cui sono avvenuti i rapporti di lavoro sono per il 69,81% il 2018, per il 18,86% il 2017, per l’11,33% il 2016. I dipendenti esaminati sono per il 77,35% di sesso maschile e per il 22,65% di sesso femminile. Le fasce di età rappresentate sono del 18,86% fino ai 20 anni, del 35,84% tra i 21 e i 25 anni, dell’11,32% tra i 26 e i 30 anni, del 16,98% tra i 31 e i 40 anni, del 15,09% tra i 41 e i 50 anni, dell’1,88% dai 51 anni in poi. Il 52,83% dei dipendenti è residente a Gaeta, il 13,20% a Itri, il 9,43% a Formia, il 3,77% a Fondi, l’1,88% a Minturno, il 18,86% in altri comuni. L’83,01% dei rapporti di lavoro si è svolto presso la città di Gaeta, il 7,54% presso Formia, il 5,66% presso Sperlonga, l’1,88% presso Itri, l’1,88% presso Minturno. I settori interessati sono quello della balneazione per il 49,06%, della ristorazione per il 24,53%, del commercio per il 9,43%, del settore alberghiero-ricettivo per il 7,54%, dell’intrattenimento per il 5,66%, dell’agricoltura per l’1,89% e della pubblicità per l’1,89% (volantinaggi). Da questi primi dati si evince che il campione esaminato è rappresentativo soprattutto della realtà gaetana e dei settori della balneazione e della ristorazione, anche se emerge chiaramente un quadro omogeneo in altre città del comprensorio e in altri ambiti lavorativi. Si evince inoltre che tali lavori vengono condotti prevalentemente da una manodopera in media molto giovane anche se non mancano fasce di età ben rappresentate superiori ai 40 anni. Il 56,60% degli intervistati ha dichiarato di avere avuto un regolare contratto di lavoro, il 39,62% no, il restante 3,78% di essere stato retribuito attraverso Vaucher. Il 45,28% del campione ha dichiarato di aver svolto una singola mansione lavorativa, il 54,72% di averne svolte molteplici. Il 9,61% dei rapporti di lavoro esaminati è durato complessivamente 1 mese, il 19,23% due mesi, il 42,30% 3 mesi, il 15,38% 4 mesi, il 3,84% 5 mesi, il 7,69% 6 mesi, l’1,92% 7 mesi. Il 58,49% dei dipendenti esaminati ha lavorato 7 giorni su sette, senza giorno di riposo, il 32,07% per 6 giorni settimanali, l’1, 88% per 5 giorni settimanali, l’1,88% per 3 giorni settimanali, il 3,77% per 2 giorni settimanali, l’1,88% per 1 giorno settimanale. Il 26,92% dei dipendenti ha dichiarato di aver lavorato dalle 6 alle 8 ore giornaliere, il 44,24% di aver lavorato 9 o 10 ore giornaliere, il 28,84% ha dichiarato di aver lavorato dalle 11 alle 13 ore giornaliere. Il 30,76% dei lavoratori ha dichiarato di non avere avuto diritto a nessuna pausa durante la giornata lavorativa, il 55,76% di avere avuto diritto ad una pausa, il 9,61% a 2 pause, il 3,84% a 3 pause giornaliere. Dei ‘fortunati’ che hanno avuto diritto ad una o più pause il 2,78% afferma che la durata di una singola pausa è stata di 5 minuti, l’8,34% afferma che tale durata è stata di 10 minuti, il 13,89% afferma di avere avuto a disposizione 15 minuti, la stessa percentuale dichiara di avere avuto a disposizione 20 minuti, il 19,44% 30 minuti, il 41,66% oltre 30 minuti. L’8,16% dei lavoratori ha dichiarato di aver ricevuto una paga netta giornaliera pari o inferiore ai 20 Euro, il 20,41% tra i 21 e i 30 Euro, il 48,98% tra i 31 e i 40 Euro, il 18,37% tra i 40 e i 50 Euro, il 4,08% superiore ai 50 Euro. Il calcolo delle paghe orarie, da noi eseguito, mostra che il 2,04% dei dipendenti ha percepito tra 1 e 2 Euro l’ora, il 28,57% tra i 2 e i 3 euro l’ora, il 32,65% tra i 3 e i 4 euro l’ora, il 24,48% tra i 4 e i 5 euro l’ora, il 6,12% tra i 5 e i 6 euro l’ora, il 4,08% tra i 6 e i 7 euro l’ora, il 2,04% tra gli 8 e i 9 euro orari. I dati estrapolati mostrano chiaramente che anche nei casi in cui venga stipulato un regolare contratto quasi mai esso viene rispettato, rimanendo in una sfera di totale illegalità in quanto a retribuzioni, ore effettive di lavoro, mansioni svolte. Tempi e ritmi di lavoro risultano pertanto inaccettabili, spesso senza alcuna pausa di riposo o con pochissimi momenti di pausa, solitamente anche molto brevi. Se le clausole contrattuali venissero rispettate, pur non essendo certo ottimali alla luce dell’attuale legislazione vigente in questi settori, oltre a rendere più umano il lavoro svolto produrrebbero molti posti occupazionali aggiuntivi, circa il doppio alla luce delle ore lavorative dichiarate. Il 58,49% dei dipendenti dichiara di aver già avuto in passato altri rapporti di lavoro con lo stesso datore, mentre il 41,51% dichiara di non averne avuti. Il 33,96% dei lavoratori afferma di avere avuto una formazione specifica per il lavoro svolto, il 66,04% no. Solo il 5,67% dei dipendenti afferma di avere avuto contatti con rappresentanti sindacali o altre figure destinate a far valere i propri diritti, il 94,33% degli intervistati afferma invece di non avere avuto rapporti con essi durante il periodo lavorativo. Tuttavia il 54,72% afferma che saprebbe a quali figure rivolgersi, il restante 45,28% no. Inoltre il 75% dei lavoratori dichiara che sarebbe disponibile ad intraprendere eventuali iniziative di rivendicazione e di lotta per ottenere i propri diritti negati e migliorare la propria condizione. Il 35,85% degli addetti dichiara che durante il proprio rapporto di lavoro ha ricevuto dal datore trattamenti umilianti, offensivi, che hanno leso la propria dignità umana e di lavoratore/trice. I dati mostrano che il padronato locale predilige dipendenti che oltre alla giovane età e alla scarsa esperienza già sottolineate non abbiano una formazione specifica per il lavoro svolto, malgrado la presenza sul nostro territorio di scuole come gli istituti alberghieri e corsi di vario genere che formano personale qualificato nei settori indicati. Ciò contribuisce a rendere i lavoratori meno consapevoli del proprio valore e più facilmente assoggettabili. E’ inoltre presente un continuo ricambio del personale consentito dal grande bacino di disoccupati pronto a rimpiazzarlo, adoperando quest’ultimo come strumento di ricatto su chi lavora, invece di favorire la stabilizzazione e la formazione del dipendente. Tali fattori non possono che incidere negativamente anche sulla qualità dei servizi erogati all’utenza, spesso a caro prezzo. Il fatto che malgrado il trattamento emerso pochissimi tra i lavoratori intervistati dichiarino di avere avuto rapporti col sindacato, nonostante la maggior parte di essi affermi che saprebbe a chi rivolgersi ed il 75 % dichiari che vorrebbe intraprendere iniziative di mobilitazione, manifesta alcuni elementi rilevanti. Tra essi sicuramente il timore di ritorsioni nei propri riguardi, anche da parte di altri datori di lavoro legati al proprio attuale, l’isolamento e la debolezza dei lavoratori in assenza di forme di coordinamento e di organizzazione, una grande difficoltà o una scarsa propensione dei sindacati nell’ intercettare le istanze di questi operai e venire a contatto con essi. Il dato concernente la frequenza di trattamenti umilianti e irrispettosi da parte del datore di lavoro rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia indicando l’arroganza di chi si sente forte di una posizione predominante in assenza di una controparte consapevole, combattiva e organizzata. Ai dipendenti che hanno dichiarato di aver firmato un regolare contratto di lavoro sono state rivolte alcune domande aggiuntive. Il 10% di essi ha dichiarato che gli è stato imposto di firmare una lettera di licenziamento alla stipula del contratto, chiaramente come monito e arma ricattatoria. Al 23,34% non è stata consegnata copia del proprio contratto di lavoro. Di conseguenza la stessa percentuale ha dichiarato di non conoscere quanto previsto dal proprio contratto. L’80,95% di coloro che conoscono quanto previsto ha dichiarato di aver svolto più ore lavorative di quelle previste. Il 14,28% di essi dichiara di aver ricevuto una paga effettiva inferiore a quella prevista dal contratto firmato. Il 59,10% dichiara di aver svolto mansioni e compiti non previsti dal proprio contratto di lavoro. Il 70% dei dipendenti dichiara che la durata del rapporto gli ha dato o gli darà diritto a percepire un’indennità di disoccupazione, il restante 30% no. Questo significa che il 60,02% del campione totale esaminato, comprendente anche chi non ha un contratto, non percepirà alcuna indennità al termine del rapporto. I dati emersi delineano un quadro a dir poco sconcertante delle condizioni lavorative nei settori interessati all’interno del nostro territorio. Chi troppo a lungo ha fatto finta di non vedere una realtà sotto gli occhi di tutti da oggi non potrà più nascondersi facilmente dietro ad un dito. Ciò che abbiamo riscontrato genera una rabbia ancor maggiore se si pensa che avviene in settori come quello della balneazione che vedono come controparte i profitti altissimi di pochi fortunati che operano indisturbati ed in condizioni di scarsissima concorrenza grazie a concessioni su suolo demaniale. Carenza occupazionale e soprattutto pessime condizioni lavorative sono alla base del noto fenomeno dell’emigrazione giovanile che sta producendo da decenni l’atrofia del nostro territorio. Quanto emerso rappresenta un atto d’accusa senza precedenti nei riguardi della legislazione nazionale sul lavoro e dei governi che l’hanno favorita alimentando il quadro della deregolamentazione, degli organi di controllo, Ispettorato e Guardia di Finanza in primis, che si mostrano del tutto inadeguati al compito assegnatoli, del mondo politico locale e degli amministratori che non sanno o non vogliono intervenire al fine di limitare un fenomeno così diffuso e favorirne il superamento, del sindacato o di gran parte di esso che sembra non possedere la capacità di rappresentare questi lavoratori”.

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