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Lettura: Lucia Fusco ci fa conoscere Miserabili, la storia di Giuseppina
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Mondoreale > Blog > Speciali > Lucia Fusco ci fa conoscere Miserabili, la storia di Giuseppina
Speciali

Lucia Fusco ci fa conoscere Miserabili, la storia di Giuseppina

Ultimo aggiornamento: 29 Marzo 2014 23:07
Simone Di Giulio Pubblicato 30 Marzo 2014
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Da giorni e giorni al telegiornale parlano di “prostitute bambine”, di “madri incapaci di educare” e amenità varie. Come donna, madre e come persona vorrei sentire parlare di pedofili che molestano e violentano delle bambine dodicenni, invece niente… I nostri giornalisti, i politici, il clero, gli intellettuali si adoperano per consolidare una restaurazione del pensiero e dei costumi che per me, “veterofemminista”, è sconcertante; mi fa soffrire, mi fa sentire calpestata, così com’è stata calpestata la vita della piccola Giuseppina, protagonista di questo racconto.
Mio nonno Paolo mi raccontava che negli anni Venti, a Suso ci fu un efferato delitto, custodito da tutta la popolazione… I tempi non sono molto cambiati. E’ più facile stare dalla parte del potente…
In quegli anni, nella casa di mio nonno Paolo, in via Murolungo, a Suso, c’era la scuola pluriclasse, condotta dai maestri Nardacci e De Angelis. Un giorno, il maestro De Angelis avvisò gli alunni di vestirsi nel migliore dei modi possibile, (con gli stracci migliori), di lavarsi e pettinarsi, perché il giorno seguente sarebbe venuto in visita il Direttore Tasciotti e avrebbe fatto loro una fotografia! Questa foto è nel salotto di mia mamma: mio nonno frequentava la seconda classe elementare, il suo ultimo anno di scuola. Indossa una giacca con le toppe, le ciocie ai piedi, è serio e orgoglioso; con lui una quarantina di bambini, maschietti e femminucce insieme, nessuno sorride. Sembra un altro mondo, fatto di rattoppi, cenci, lacci… La piccola Giuseppina, figlia unica, indossa un bel foulard bianco. E’ piccola, carina, delicata. Da lì a poco tempo stava per caderle addosso il mondo e non lo sapeva…
Senza presentimenti, un brutto, terribile giorno, il primo di tantissimi, Giuseppina lo visse che aveva otto anni. Mentre il papà lavorava nell’orto di casa, la bambina pascolava la capra alle pendici del Monte Nero. Il papà, zappando, la controllava con un rapido sguardo, e ogni tanto si salutavano con il braccio alzato. All’improvviso, l’uomo sentì delle urla acutissime e non vide più in lontanza l’esile figura bambina di Giuseppina. Cominciò a correre impazzito e in pochi minuti raggiunse il pascolo.
Vide in volto un brutto ceffo che fuggiva. Lo riconobbe, ma non lo inseguì: la bambina giaceva a terra, le vesti stracciate. Il sangue le lordava le gambe, la pancia, le mani, il piccolo volto. La raccolse tra le braccia e insieme piansero e urlarono di rabbia e di dolore.
Mio nonno, compagno di scuola di Giuseppina, arrivò anch’egli al pascolo con la mucca, lì vicino. Sentì il pianto accorato e le grida dei due, corse verso di loro, e vide, con i suoi occhi fanciulli, Giuseppina in braccio al papà, entrambi coperti di sangue: ne rimase sconvolto, tanto che, ormai vecchio, continuava a ricordare questa storia con infinito dispiacere.
Il padre non andò dai carabinieri. Paura, vergogna e ignoranza gl’impedivano di cercare Giustizia. Pensava di potersi vendicare dell’atto disumano che la bambina e la famigliola tutta avevano dovuto subire. Ma il dolore lo soverchiava così potentemente che morì di crepacuore pochi giorni appresso alla violenza, lasciando Giuseppina e la mamma da sole, senza Giustizia, senza vendetta, senza futuro.
La brutalità di quell’atto aveva ucciso la purezza di una bambina e uccise il padre, uomo buono e semplice: la mamma restò a combattere da sola la lotta per la sopravvivenza, lavando per pochi “bocchi” i panni dei vicini alle fontane. Giuseppina non frequentò più la scuola, coperta di “vergogna” e di “colpa”. Passarono pochi anni, morì la mamma, e Giuseppina, ancora piccola, restò sola.
L’unica strada che le fu permesso di percorrere per sopravvivere, in quella società arcaica e crudele, fu quella della prostituzione. Era impensabile che una bambina stuprata potesse diventare una donna da sposare e formare una famiglia. Approfittarono così di lei, povera, giovane, bella e miserabile, continuando a violentarla, centinaia di uomini senza pietà, miserabili senz’anima.
Ma Dio posò finalmente il Suo sguardo su di lei. Negli anni seguenti Giuseppina divenne madre di due figli: Augusto e Gina. Giuseppina li crebbe e li amò come un dono del Cielo, li educò a pane e scuola. Furono la sua forza e il motivo per continuare a vivere, in mezzo al deserto di quella gente senza cuore.
Giuseppina morì giovane, a nemmeno sessanta anni, lasciando ai figli il dono dell’amore e dell’accoglienza.
E il bruto, il brutto ceffo? La gente aveva paura di lui perché era un mafiosetto, un prepotente, un piccolo potente, perciò tutti finsero di non sapere ciò che aveva fatto all’innocente Giuseppina. Quel delinquente rimase libero, si sposò, ebbe figli. Ma tutta la sua generazione, ancora oggi, è tarata dal marchio della violenza, dell’arroganza, della deformità fisica e morale.
Vorrei un mondo umano, un mondo di persone adulte, sagge, oneste, civili. Continuo a sentire la notizia che uomini di cinquanta e sessant’anni frequentano “prostitute bambine”. Non ce la faccio… scusate. Perché non si riesce a vivere una sessualità più umana, meno brutale? Perché non si considera l’altro una persona con delle emozioni, sentimenti e non un corpo da usare? Non ci sono alternative a una sessualità malata ma travestita da vittoriosa? Per amore verso Giuseppina e verso le bambine di ieri e di oggi ho raccontato questa storia.

compleanno alla livella 012

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