MondorealeMondorealeMondoreale
Ridimensionamento dei caratteriAa
  • Notizie
    • Attualità
    • Cultura & Eventi
    • Sport
    • Politica
    • Cronaca
    • Speciali
    • Regione
    • Dall’Italia e dal Mondo
  • Chi siamo
  • Redazione
  • Pubblicità
  • Contatti
Lettura: Lucia Fusco ci presenta Cesare Mele, un eroe della Prima Guerra Mondiale
Condividi
Ridimensionamento dei caratteriAa
MondorealeMondoreale
Search
  • Notizie
    • Attualità
    • Cultura & Eventi
    • Sport
    • Politica
    • Cronaca
    • Speciali
    • Regione
    • Dall’Italia e dal Mondo
  • Chi siamo
  • Redazione
  • Pubblicità
  • Contatti
Hai un account esistente? Registrazione
Seguici
Mondoreale > Blog > Lucia Fusco ci presenta Cesare Mele, un eroe della Prima Guerra Mondiale

Lucia Fusco ci presenta Cesare Mele, un eroe della Prima Guerra Mondiale

Ultimo aggiornamento: 5 Dicembre 2013 8:21
Simone Di Giulio Pubblicato 4 Dicembre 2013
Condividi
Condividi

“Qualche anno fa la scuola di Ceriara di Sezze veniva intitolata ad un soldato, eroe della resistenza, il setino Aldo Bottoni. A pochi giorni dalla fine della seconda guerra mondiale dette la sua vita e la sua giovinezza per noi, perché potessimo essere liberi. Questa, invece, è un’altra storia. E’ la storia di un altro soldato, eroe e “santo” che dette la vita durante la prima guerra mondiale per la sopravvivenza della sua famiglia. La sua famiglia, la mia. Si chiamava Cesare Mele, la stele grigia della tomba avrebbe bisogno di restauro. Si trova nella parte storica, monumentale, intorno tante altre lapidi, spezzate, dimenticate. La foto mostra un bel ragazzo moro in divisa, coi baffetti; l’epitaffio recita: Cesare Mele di Antonio Granatiere Come Prezioso Olocausto Per la Vittoria italiana Volò in seno agli Angeli Alla verde età di anni 22 I Genitori Inconsolabili ed Esanimi posero”. La segnalazione ci arriva da una nostra lettrice, Lucia Fusco che continua nella documentazione storica: Era il 1918 e Cesare, Granatiere di Sardegna, si trovava sul fronte veneto. Da qualche tempo, da casa, riceveva lettere con una calligrafia sconosciuta, e anche le parole non erano quelle in uso a casa sua. Preoccupato, chiese una licenza di qualche giorno al Capitano al quale mostrò le lettere e i dubbi. Dopo giorni di viaggio arrivò in treno, sul “Tuppitto”, che lo lasciò a Velletri. Poi arrivò a casa con le ali ai piedi. La casa a Suso, era silenziosa. Trovò gli scuri chiusi e la porta semiaperta: il padre, Antonio, aveva la febbre alta e non lo riconobbe, la mamma, Filomena, in un sussurro, gli raccomandò di stare attento: la Spagnola li aveva colpiti. Che andasse all’Alberito a Ceriara, dove le bestie erano rimaste legate agli alberi di olivo…; anche i fratellini e le sorelline erano malati: il più piccino, Angelo, di pochi mesi, non lo aveva ancora conosciuto, era il più grave. Cesare non si perse d’animo e preparò del vino caldo al quale aggiunse il prezioso chinino di cui, soldato, era provvisto. Raffreddato il liquido lo fece bere ai familiari. Tutti n e assunsero una dose tranne il piccino, perché davvero troppo piccolo per bere quel liquido terribile. Poi, a dorso d’asino, partì per la via delle Quartara, tratturo che da Monte Trevi scendeva fino a Ceriara, a pochi passi dalla palude, dove c’era, solitaria, l’osteria di Panici e poche capanne. Raggiunto “l’Alberito” portò sollievo agli animali. Li liberò dalle corde perché pascolassero. Riempì di acqua tutti i “comodi” e poi, prima di tornare a casa, perché era piuttosto stanco del viaggio e delle emozioni che stava vivendo, seminò il favino, in modo che crescesse nuovo cibo per gli animali.Ma la spagnola lo aveva preso e, tornato a casa, si mise a letto, febbricitante. Il papà, la mamma, Filomena “Calazi”, i fratellini e le sorelline intanto stavano meglio e lo aspettavano per festeggiarlo. Filomena subito si recò dai Carabinieri per spiegare che il figlio Cesare si era ammalato di Spagnola, e non avrebbe potuto ripartire, l’indomani; ma il Maresciallo rispose che, vivo o morto, doveva risalire sulla tradotta e tornare al fronte. <>. Il soldato ammalato riposava nella stanza che divideva coi fratellini e coi nonni, un tramezzo lo divideva da un’altra stanza: ora c’era una piccola cassa da morto, fatta con le tavole del letto dei genitori: vi era deposto il neonato, Angelo. Cesare, inconsapevole della morte del piccolo, si stupì di non sentirlo piangere e di tutto quel silenzio intorno. Ne chiese il motivo alla madre: <>. Così Cesare potè lasciare la vita tranquillo: quando sentì la morte vicina chiese alla mamma di andargli a prendere l’acqua fresca del pozzo… e morì, solo. Da soldato. Non aveva il coraggio di morire davanti alla sua mamma. Era appena tornato e se ne doveva andare via. Aveva dato a tutti il chinino e lui invece non ne aveva bevuto… Filomena, sporca, fiera e coraggiosa come Anita Garibaldi, seppellì in poche ore il primo e l’ultimogenito, accompagnati al cimitero dal maestro Nardacci e dalla pluriclasse. Infatti nella casa di Filomena c’era la scuola. Tornati a casa quella madre addolorata offrì al maestro e ai bambini tutte le provviste di formaggio e pane fatto in casa in onore dei suoi cari morti. Dopo aver accudito alla casa e ai sette orfani, tutti minorenni: Paolo, Tommaso, Vincenzo, Lidano, Luigi, Luisa, Giuseppina, scese col fedele somarello giù all’alberito, a Ceriara, “a requete le uestie”. Stavano bene, tutto era a posto, gli animali erano sopravvissuti a quei terribili giorni. Il prato era in fiore: il favino aveva appena iniziato a crescere… e tra le piantine nascenti Filomena notò le orme profonde dei passi del figlio soldato. Un fiume di lacrime finalmente scese dagli occhi di quella madre garibalda che, tra i singhiozzi, baciò le impronte una per una, come fossero una reliquia, e a lungo gridò il suo dolore, urlò, baciò e imprecò il Cielo per lo strazio. Ho voluto scrivere questa storia per condividerla e perché non vada seppellita nell’oblio. Quando ero piccola i miei genitori e i miei nonni raccontavano le storie di famiglia, a me e ai miei cuginetti, perché crescessimo in consapevolezza e in sapienza. Perché ci ricordassimo sempre della strada che avevamo percorso, prima di giungere ai nostri giorni. Oggi non raccontiamo più storie di sacrifici ai giovani: sono cose vecchie, superate, inutili, non interessano a nessuno. Io invece credo, fortemente, che il nostro passato, il nostro dialetto, la Storia, siano le cose più preziose che possediamo e una volta perduta ogni memoria saremo rovinati per sempre, come recita il poeta siciliano Ignazio Butitta: “…Un populu,Diventa poviru e servu,Quannu ci arrobbanu a lingua Additata di patri:E’ persu pi sempri.”Oggi… su quelle orme si fonda la mia casa. Vivo all’Alberito da molti anni…

Correlati

Potrebbero interessarti anche

APRILIA | Parco dei Mille abbandonato al degrado, l’appello di Andrea Ragusa ai cittadini
ROMA | Il Progetto Tobia arriva all’Ospedale Sandro Pertini, Maselli: «Vera integrazione sociosanitaria»
LATINA | In autobus senza biglietto e documenti si scaglia contro i Carabinieri: arrestato un 19enne
FORMIA | Il sito del Comune cambia volto: da domani attivo il nuovo portale istituzionale
TERRACINA | “Mosche”: il dramma di Jean-Paul Sartre prende vita con lo spettacolo di Teatro Mobile
Condividi questo articolo
Facebook Twitter Email Stampa

-SPONSORED-

Mondo Re@le, testata registrata presso il tribunale di Latina il 29 febbraio 2008 RG 128/08 VG Cr.323
Registrazione Stampa N° 892. Iscrizione al ROC dal 7 marzo 2008 numero iscrizione 17028 P. Iva 02409130594

Link utili

  • Notizie
  • Chi siamo
  • Redazione
  • Pubblicità
  • Contatti
  • Privacy Policy

Categorie

  • Attualità
  • Cultura & Eventi
  • Sport
  • Politica
  • Cronaca
  • Speciali
  • Regione
  • Dall’Italia e dal Mondo

Seguici sui social

Copyright © 2024 Mondoreale. Tutti i diritti riservati.
Welcome Back!

Sign in to your account

Password dimenticata?