BUSSANO ALLA PORTA, per M. Night Shyamalan l’Apocalisse è un atto di fede

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BUSSANO ALLA PORTA

Regia: M. Night Shyamalan
Genere: Thriller, drammatico
Interpreti: Dave Bautista (Leonard), Eric Stoltz (Eric), Ben Aldridge (Andrew), Nikki Amuka-Bird (Sabrina), Kristen Cui (Wen), Abby Quinn (Adriane), Rupert Grint (Redmond)
Paese/Anno: U.S.A., Cina/2022
Durata: 100′
Dove vederlo: al cinema dal 3 febbraio

 

 

8/10

 

 

A volte il Cinema sembra davvero una cosa semplice. E, spesso, dalle idee più semplici, nascono progetti destinati a restare incollati nella mente, come un ricordo traumatico. Quando poi, dietro la macchina da presa trova posto un grande artigiano del thriller, dell’horror e del Cinema di suspense, come M. Night Shyamalan, non resta che lasciarsi trasportare e turbare, come spettatori in piena deriva emotiva. Non a caso, basta la lenta e metodica sequenza d’apertura di Bussano alla porta, per evocare e intrappolare – come un grillo dentro un vasetto di vetro – l’estro e lo stile del regista de Il sesto senso: sta tutto lì, in quei campi e controcampi sghembi, nelle soggettive ansiogene, nei dialoghi serrati, nella raccolta “spaziale” – dentro lo spazio scenico – dei dettagli, nel miscuglio di suoni ed effetti e, soprattutto, nel portentoso valore assunto da tutto ciò che resta fuoricampo e che, inevitabilmente, governa l’azione diretta da Shyamalan. È la materializzazione filmica del perturbante, elevata per forma e sviluppo in una piccola grande masterclass del cinema dell’orrore.

Bussano alla porta è un film lineare, semplice nello sviluppo dell’intreccio, ma affatto sempliciotto. Se l’azione – da subito in medias res – viene concentrata in un non-luogo boschivo, tutta canalizzata all’interno di un baita in cui viene messa in scena la lotta di una famiglia eterogenea – due papà della middle-class americana e una figlioletta dai caratteri asiatici – per la conquista duratura della propria serenità, Bussano alla porta è un opera che gioca con lo spettatore – inevitabilmente destinato in breve tempo a parteggiare con i protagonisti presi d’assalto -, spingendolo con malcelata violenza (psicologica) verso un crescente e costante atto di fede: perché credere nella storia raccontata dall’orchesco Leonard e dai suoi sodali? E, in tal caso, fino a che punto è necessario credere? Ma in cosa dobbiamo davvero credere?
Ecco, allora, come Shyamalan costruisce un piccolo, grande film, affabulatorio e allucinante, in uno stato di perenne tensione emotiva, logica e sentimentale. Bussano alla porta è un’opera che si serve di una trama basica, per poi ridurla a mero accessorio, perché quando gli eventi vengono sovrastati dalla potenza del verbo, della parola – appaiono chiari, in questa accezione, i vari riferimenti biblici disseminati nel film, dall’apocalisse, alla presenza di “quatto cavalieri”… -, la missione che Shyamalan vuole compiere ha come obiettivo finale l’esaltazione del linguaggio come strumento rivelatore e portatore di verità; verità da non intendere banalmente come “ciò che è vero”, ma piuttosto come “ciò che si vuol intendere come vero”. Sta a noi, ci dice il regista di Unbreakable, distinguere e comprendere ciò che è vero da ciò che non lo è; è questo il vero e grande atto di fede a cui il Cinema ci chiama. È questo il compito primigenio della Settima Arte – che si tratti di una locomotiva o di quattro sconosciuti che bussano alla porta…

Infine, appare doverosa una postilla sul vero protagonista fisico della nuova opera di Shyamalan: Dave Bautista, gigantesco monolite di muscoli dallo sguardo vacuo e ambiguo, un orco sotto mentite spoglie, dalla voce più profonda dell’antro di una caverna, assolutamente perfetto per una parte così. Perfetto soprattutto perché rimanda alla riflessione posta poc’anzi, relativa alla costruzione e all’uso dello spazio filmico operata del regista di origini indiane: chiunque saprebbe riprendere Bautista al centro di un’inquadratura, ma solo Shyamaln è in grado di riprendere Bautista in qualsiasi angolo o prospettiva di un’inquadratura e trasformarlo in un mostro, attraverso un accurato utilizzo scenico di un corpo che incarna alla perfezione il concetto di perturbante che pulsa e su cui si fondano le visioni allegoriche di un maestro della Settima Arte.

Stefano Colagiovanni

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