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Mondoreale > Blog > Speciali > Riceviamo e pubblichiamo, Lucia Fusco: “Gina figlia di Adele”
Speciali

Riceviamo e pubblichiamo, Lucia Fusco: “Gina figlia di Adele”

Ultimo aggiornamento: 30 Maggio 2014 18:33
Simone Di Giulio Pubblicato 1 Giugno 2014
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Una mamma disperata
Poche sere fa, tardissimo, ho ricevuto una telefonata. Stavo quasi per prendere sonno: una cara, dolce amica del mio passato. Mi ha stupito sentirla a quell’ora, e mi ha fatto felice pensare, nell’attimo di uno squillo, ad antichi giorni, alla gioventù… ma, via via che l’ascoltavo, mi ha dato anche dolore. Con voce tranquilla, controllata, ma che tradiva un’emozione che dal profondo la scava, mi ha raccontato la sua storia di disperazione e rabbia. Il suo unico figlio, Michele, laureato da qualche anno, si è arreso. Costretto dalla mancanza di lavoro è emigrato. A quasi trent’anni è doloroso non poter contare sulle proprie forze, sul proprio lavoro, dopo tanto aver studiato. S’è lasciato con la fidanzata “storica”, il rapporto – senza futuro – si era deteriorato… In un mondo dove conta “il merito”, “l’eccellenza”, non c’è posto per i normali. Non c’è posto, futuro, lavoro, per un uomo che si è laureato a 24 anni, senza lode, ne’ bacio accademico. La mamma mi ha tenuto sveglia raccontandomi che Michele, a Francoforte, svolge un lavoro, sì certo, ma quanti bocconi amari: si sente straniero, emigrante, e italiano… nel bene e nel male. La mia amica prega ogni giorno che ritorni… esce continuamente in giardino, e si guarda intorno sperando in una ricomparsa impossibile, improbabile, da vinto… mi è tornata in mente un’altra storia….
Miserabili – Seconda parte
…Giuseppina crebbe i suoi figli con sacrificio e amore… ma la sua vita fu breve come un fiore calpestato e morì un giorno di primavera, lasciando i figli appena adulti. Gli anni erano passati duri e lenti: era il 1948, appena finita la guerra. A Suso, in uno scendì, viveva Gina, giovane sposa, orfana di Giuseppina, con il marito Paolo, di professione ciabattino, e due bambini piccoli, il terzo era morto alla nascita. Per aiutare i magri guadagni di Paolo, Gina faceva la balia a una bambina che aveva in affido dal befetrofio. Molte donne hanno aiutato così degli orfani che, in quei tempi, sarebbero altrimenti morti… un atto d’amore e di generosità sostenuto da qualche denaro per sopravvivere, in quegli anni di fame e disperazione…
La bambina in affido una mamma l’aveva: durante l’allattamento una signora, ogni due mesi, arrivava con una macchina di lusso, nera, con l’autista. Mia mamma, che aveva sei anni, ricorda una donna giovane e bella, ben vestita, col cappellino e la veletta. Era gentile: dava un biscotto a tutti i bambini, in parata davanti a lei, abbagliati da questa creatura tanto diversa dalle loro madri, e insieme col biscotto donava la raccomandazione di non far cadere la sua bimba, quando la mettevano in braccio… All’età di due anni la bambina lasciò lo scendì e tornò con la madre. I bambini, senza più “bambola” ne’ biscotto, piansero molto.
La giovane balia intanto attendeva di nuovo un figlio. Ma lavoro non c’era e i giovani lepini partivano per terre straniere. Anche il marito di Gina, senza lavoro, senza dignità, senza futuro, partì per il Belgio, per andare a lavorare in miniera. Era un uomo giovane e bello, ma molto povero. Aveva sposato Gina, una ragazza buona, onesta e bravissima, che era figlia di Giuseppina, povera e prostituta, per amore vero, nonostante il parere contrario di tutta la sua famiglia. Non avevano niente contro Gina, ma Giuseppina!
Mia mamma ricorda che alla Crocetta, ogni mattina, erano scene di disperazione, pianti e grida terribili perché la corriera che là si fermava, portava via il fiore della gioventù che andava a cercare pane e fortuna, lasciando deserte le case, le terre, le donne. Anche Gina pianse e supplicò il marito di non andare, ma il destino è più forte delle lacrime, così Paolo partì giurando di tornare presto… e ricco.
Gina era rimasta sola ad accudire alla casupola e ai bambini: la pancia cresceva; la bimba più piccola ebbe la febbre e fu costretta a recarsi in paese in farmacia, a piedi. Le strade non erano asfaltate ma brecciate, la donna, col pancione, impacciata nei movimenti, cadde malamente e si fratturò entrambe le braccia. Portata in ospedale, fu ingessata con le braccia in croce, attaccate al busto, lasciando libere solo le mani e la pancia…
Fu un altro dramma per questa madre. Povera, orfana, col marito lontano… Le vicine, però, tra cui mia bisnonna Filomena, ne conoscevano il bisogno e la bontà, la aiutavano con i bambini, le lavavano il viso e la pettinavano. Aveva due lunghe trecce nere. La mattina presto si alzava dal suo giaciglio portando il pettine in bocca perché Filomena o qualche altra le rifacesse la treccia. Per colazione, aneliti e lacrime…
Era ormai caldo, era passato un mese dalla partenza del suo sposo, e Gina sopportava con fatica le braccia ingessate, i bambini con le loro necessità, l’inattività forzata, la pietà di chi le voleva bene. Mentre Filomena la lavava e la pettinava, sotto la pergola, con i bambini intorno, Gina guardando lontano verso la Crocetta, sospirò forte e disse: > Filomena osservò :<< non pare Paoluccio, Gì, è Paoluccio te’>>.
Gina, con tutta la pancia, la sorpresa, il gesso, il dispiacere, fece un balzo, correndo e strillando raggiunse lo sposo in un attimo, e non potendosi attaccare al collo tra le lacrime e i baci gli disse: <
Paolo buttò la valigia per terra: < Che ti si fatta, Gì? Accom’ha suceso? Ti si ruinata!!! >
Le donne del vicinato intanto raggiunsero la coppia. Paolo abbracciato a Gina piangeva di disperazione… Gina singhiozzava piano e si lamentava… molti bambini, impauriti piansero in braccio alle madri.
Il caffè non si usava, non c’era in quelle case povere e contadine, ma in casa di Filomena Paolo fu rifocillato… e potè raccontare quanto gli era accaduto: spiegò che per circa un mese tutte le mattine si era presentato per scendere nell’ascensore che lo avrebbe portato giù nella miniera ma non ce la faceva mai e si sentiva morire tutte le mattine… Gli faceva paura tutto quel nero, quei rumori metallici, l’odore di sporco, le facce rassegnate ed esauste dei minatori del turno che staccava, il senso di morte che sentiva venire dalla Terra… Tentava tutte le mattine, si preparava per il lavoro ma non ce la faceva ad entrare nel tunnel buio e alla fine lo avevano cacciato e rimpatriato. Tutti piansero a quelle parole, mia mamma ricorda le lacrime che scendevano dagli occhi di Paolo e si asciuga le sue.
Paolo promise a Gina, davanti a tutta quella piccola folla di miserabili, che avrebbe lavorato tutte le mattine, si sarebbe allontanato da casa in bicicletta per portare una pagnotta di pane a casa, qualcosa per sopravvivere. Avrebbe lavorato giorno e notte, se necessario, ma che mai più avrebbe lasciato la sua terra, la sua casina, la moglie, i figli!
Così fu. Paolo cominciò a lavorare a giornata, prima saltuariamente, ma dandosi da fare ogni giorno di più per dare da mangiare alla sua famiglia. Intanto l’Italia tutta, grazie al piano Marshall, cominciò faticosamente a uscire dalla miseria e a casa di Paolo e Gina il pane non mancò più. Nacque la terza bambina, sana e bella. Fu chiamata Giuseppina.
Nel 1960 la famiglia se ne andò da Suso per andare a vivere vicino al mare. Oggi ne abbiamo perso le tracce. I figli sono ormai anziani, persone serie e tranquille e forse ignorano la storia della loro sfortunata ma coraggiosa nonna Giuseppina.Mia mamma vorrebbe molto ricontrarli, perché li ha molto amati, da bambina.
Ho cambiato i nomi dei personaggi di questa vicenda perché nessuno possa sentirsi dispiaciuto. Occorre prendere coscienza che ognuno di noi è responsabile delle azioni che compie in questa vita e che hanno conseguenze gravi e dolorose anche sulle vite delle generazioni future. Prego che i Signori delle Banche siano illuminati e smettano di fare scelte scellerate ed egoiste che portano i nostri giovani e le loro mamme alla disperazione, all’emigrazione e alla solitudine.

Lucia Fusco, maggio 2014

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